l’altro


Napoli: rifiuti gratta e vinci

 

Per dare il congedo al 2007, nel post del 31 dicembre, auspicavo una maggior attenzione ai problemi reali del Paese, come quello dei rifiuti a Napoli, troppo spesso ignorati dai giornali e nascosti come la polvere sotto il tappeto della cronaca nera. L’ auspicio riletto oggi sembrerebbe essersi trasformato in profezia. Pochi giorni dopo la questione dei rifiuti napoletani è tornata all’attenzione dei media assumendo contorni drammatici e paradossali.
Nessuna capacità divinatoria, in realtà la questione napoletana mi era tornata alla mente guardando una delle foto con cui l’ Ansa ricordava il 2007.


Mi sono domandato se ha un senso parlare di rifiuti in un Blog che tratta principalmente di estetica e etica. Sono questioni che appartengono a mondi forse troppo distanti tra di loro.
Questo piccolo aneddoto scritto da Loos sul primo numero di “Das Andere” mi ha fatto cambiare idea.

 

“Quando dieci anni fa partii per l’ America, da Amburgo, feci sulla nave un’esperienza che fu determinante per tutta la mia vita. Oltre a me si trovava a bordo un altro austriaco, un tecnico di buona famiglia, un simpatico giovanotto. Nella sala da pranzo sedevamo a tavoli diversi. Lui con alcuni americani. Ma dopo qualche giorno si seppe che i suoi vicini avevano pregato il capitano di sistemare possibilmente altrove il giovane austriaco. Non era possibile mangiare vicino a lui. Aveva maniere talmente orribili. Non faceva che leccare il coltello e con questo sporcava il sale che è a disposizione di tutta la tavola. E altro ancora. Che lo sistemassero allora a un altro tavolo. Fra i tedeschi. Ma ecco che il loro orgoglio nazionale crebbe all’ improvviso. Perché ciò che non piaceva agli americani non volevano accettarlo neppure loro. Perciò un signore di Berlino dopo che l’ infelice aveva salato la propria minestra, prendeva sempre la saliera, chiamava lo steward e diceva a voce alta e con un malizioso sorriso di intesa: «Cambi il sale! E’ stato sporcato di nuovo». Le anime tenere porgevano ostentatamente al giovane il cucchiaino del sale – ma lui non lo notava. E così vennero da me e mi pregarono di dare al mio connazionale le spiegazioni necessarie. Non andò in collera. Era una persona gentile. Diventò rosso come il fuoco e si sarebbe volentieri messo a piangere. Io, in compenso, ero contento di aver vissuto pochi anni a Dresda, prima di compiere il mio viaggio in America dove anche nei ristoranti frequentati da studenti squattrinati ci sono i cucchiaini per il sale. Altrimenti mi sarebbe andata allo stesso modo. Perché da noi i cucchiaini per il sale sono sconosciuti.”
Riletto ai giorni nostri potrebbe risultarci paradossale: Perché dare tanta importanza ( “..feci sulla nave un’esperienza che fu determinante per tutta la mia vita..”) ad una questione così leggera e insignificante come l’ etichetta a tavola?
Un articolo del genere appare ancora più stridente se consideriamo che è stato scritto per una rivista “manifesto” come Das Andere. In realtà la scelta è programmatica. Tutti gli articoli della rivista trattano di questioni effimere.
Nei toni agrodolci con cui descrive le cene sul piroscafo Loos vuol fare trasparire il senso di una civiltà in declino, che non da più importanza alle proprie consuetudini. Questo aneddoto di vita degli inizi del Novecento nasconde in profondità il disagio di Loos verso la società in cui viveva.

Leggendo questo articolo di Loos non ho potuto fare a meno di immaginarmi la stessa scena grottesca ambientata però durante una cena istituzionale della Commissione europea a Bruxelles. Di fronte alle immagini dei rifiuti a Napoli, che hanno fatto il giro del mondo, non è poi così difficile pensare ai commissari degli altri paesi europei che provano a illustrare a un commissario italiano strumenti poco conosciuti come la raccolta differenziata o gli inceneritori proprio come chi tentava di mostrare ostentatamente al giovane il cucchiaino del sale sul piroscafo di Loos.
E’ stata proprio la commissione europea ad avere un’ analisi molto lucida della situazione a Napoli. Il commissario Ue all’Ambiente, Stavros Dimas, ha ammonito a non invocare la scusa della Camorra per deresponsabilizzare gli amministratori. «Le speculazioni frequentemente citate sul ruolo del crimine organizzato – ha osservato – non devono essere usate per nascondere il fatto che la causa più diretta della crisi dei rifiuti è la mancata azione e la mancanza della volontà politica per adottare le misure necessarie a risolvere il problema della gestione dei rifiuti». Ancora una volta, come nel caso dell’ articolo del New York Times sul declino italiano, la percezione di chi vive al di fuori dell’ Italia sembra più oggettiva e distaccata.

Forse però il vero motivo della mia riluttanza nello scrivere questo post è la sensazione della difficoltà di trattare un argomento del genere col dovuto distacco. Non è facile non lasciarsi prendere dall’ indignazione.
Nel considerare la questione dei rifiuti di Napoli, proverò quindi a lasciare da parte i fatti contingenti, l’ emergenza raccontata dai media, i risvolti politici.
La questione napoletana rimbalza sugli schermi come una pallina impazzita che continua a sbattere tra due muri, due punti di vista opposti. Quello di chi considera la gente che si oppone alle nuove discariche e ai termovalorizzatori come un gruppo di persone disinformate, aizzate dalla malavita organizzata,
che si oppongono al progresso. All’ opposto vi è chi vede nello stato un’ autorità che impone sulle comunità locali soluzioni pericolose imponendole con la forza. In questa prospettiva sono i politici corrotti ad essere manipolati dalla camorra.
I giornali, attraverso questa vicenda, sembrano ricalcare lo stereotipo ormai diffuso dell’ Italia divisa in due, della frammentazione della società italiana, della scissione tra gente comune e politica, della “guerra” tra regioni, tra Nord e Sud.
Io credo invece che la questione napoletana ci accomuni. L’ emergere di questa vicenda mina alle base tutta la società, e la rappresentazione che noi abbiamo di essa, toccando questioni delicate come quella dell’ igiene, del costume comune. E’ questo l’ aspetto che nel profondo ci turba di più e che ci scuote tutti. E’ come se si fosse toccato un nervo scoperto, infrangendo una regola basilare della società, del vivere civile. Un uomo che non ha più attenzione per l’igiene e per la propria persona, perde la propria dignità. E lo stesso avviene per una società. E’ una questione di cui è persino difficile parlare, forse perché è strettamente ancorata nel nostro inconscio alla morte e alla paura ancestrale delle epidemie. La questione dei rifiuti napoletani è un problema etico che mette in discussione il nostro vivere comune, lo Stato e la società, proprio come, in modo più pacato, l’ aneddoto loosiano.

Proverò a non farmi influenzare troppo dalle immagini trasmesse in televisioni.
Di una cosa, però, dobbiamo essere consci: qulle immagini rimarranno una traccia indelebile della nostra storia, con cui anche in futuro dovremo convivere.
Proprio per questo vorrei parlare della vicenda, con un po’ di scaramanzia, sorvolando sulla pesantezza della situazione e trattando di questioni più effimere, come è d’obbligo in questo blog: la fortuna e il rischio.
In fondo Napoli è patria indiscussa della smorfia, della scaramanzia e del lotto.
Il paradosso del problema mi è sembrato emergere chiaramente da una notizia apparsa negli stessi giorni in cui è scoppiata l’ emergenza:
Lotteria Italia: primo premio venduto a Napoli: Napoli fa il bis con il premio da 5 milioni di euro. Per il secondo anno consecutivo Napoli si conferma la città più fortunata d’Italia, dopo che gia’ la scorsa edizione un fortunato giocatore aveva acquistato il tagliando da 5 milioni di euro. Stavolta il biglietto fortunato (serie R 010897) e’ stato venduto in Piazza Medaglie d’oro.
I milioni di euro della lotteria sono piovuti dal cielo sulla città partenopea come i miliardi di euro arrivati per risolvere la questione dei rifiuti. Ma alla fine, dopo il loro passaggio, nulla è cambiato. La città è più povera e più sporca di prima.
Vale forse la pena indagare le cause del problema dei rifiuti parlando di rischio e fortuna.
Al posto delle classiche contrapposizioni ecologia/tecnica, autonomia locale/imposizione dello Stato, conservatori/innovatori vorrei proporre tre diverse strategie, che forse descrivono meglio l’ approccio alla questione dei rifiuti e più in generale alla gestione di un problema.
STRATEGIA DEL GRATTA E VINCI: E’ quella apparentemente meno rischiosa, caratteristica di chi prova a risolvere i problemi economici sfidando la sorte. Nel vivere quotidiano è meglio vivere giorno per giorno, sognare un futuro magnifico, non affrontare i problemi, non rischiare. Gran parte della gestione pubblica italiana rientra in questa strategia. Come il piano di rifiuti per Napoli di Edo Ronchi, ministro dell’Ambiente del primo Governo Prodi, e di Antonio Rastrelli di Alleanza Nazionale, allora presidente della Regione. Il sogno perseguito è quello di trasformare la Campania in una sorta di Danimarca. «Nella realtà più arretrata d’Italia, proponiamo la tecnologia dei rifiuti più ambiziosa». I risultati si sono visti. Ma non è solo una questione politica. Gli amministratori sono in buona parte rappresentazione della società stessa, riflettono molto spesso l’ opinione pubblica. Dietro a molta gente che si batte per una causa giusta come quella ambientale, opponendosi alle nuove discariche e agli inceneritori, c’è spesso paura di un futuro ignoto, il rifiuto di provare nuove soluzioni dovuto a mancanza di informazioni. Proprio come chi diffidando delle banche preferisse investire i soldi giocando ogni giorno al gratta e vinci. Tutto è declinato al condizionale: “quella soluzione potrebbe essere rischiosa”, “potrei vincere alla lotteria”.
Molte di queste battaglie, anche in campo ambientale, propongono modelli alternativi utopici, senza proporre soluzioni concrete. Troppo spesso la difesa dell’ ambiente diventa una muro dietro al quale nascondere la propensione a lasciare le cose come stanno, a congelare il presente. La logica è: l’importante è bloccare una soluzione potenzialmente pericolosa (termovalorizzatori, nuove discariche )… poi si vedrà. Sembrerebbe una soluzione razionale e la meno rischiosa. Ma come chi gioca ogni giorno al gratta e vinci pagando una piccola somma, pian piano finisce per perdere quel poco che ha, così lentamente chi si oppone alle soluzioni concrete per il problema dei rifiuti si ritrova sommerso dall’ immondizia. E’ qui che emergono i paradossi più amari, come quelli di chi si oppone ai termovalorizzatori perché potenzialmente pericolosi, non rendendosi conto che i rifiuti per la strada di Napoli hanno già provocato enormi danni alla salute dei Napoletani. Come scrive Roberto Saviano, l’autore di Gomorra ( il best-seller che racconta un viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra ): “gli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite.
STRATEGIA PRAGMATICA: E’ forse la soluzione con i rischi concreti più bassi, di chi è ben radicato nel presente. Significa affrontare il problema con la soluzione più diffusa. Parlando di rischio e fortuna equivarrebbe a investire i soldi, al posto del gratta e vinci, in comuni titoli di Stato. A differenza di chi tenta la sorte vivendo giorno per giorno, chi adotta questa strategia ha una capacità di programmazione di qualche anno. Nella gestione dei rifiuti napoletani, questa strategia significherebbe adottare le soluzioni più diffuse, già sperimentate negli altri stati europei: incominciare la raccolta differenziata, costruire qualche termovalorizzatore, cercando di adottare la tecnologia migliore, cercare di ridurre lo spreco. Questo significa non sottovalutare i potenziali rischi di un termovalorizzatore, cercando di ridurli al minimo.
Troppo spesso in Italia ci si batte soltanto sul sì o il no ad una soluzione senza discutere il come.
In fondo è una questione di Risk Management ( letteralmente “Gestione del Rischio”, è l’insieme degli strumenti, dei metodi e delle azioni attivate, mediante cui si misura o si stima il rischio e successivamente si sviluppano strategie per governarlo ), si tratta di trovare la soluzione meno rischiosa. Gli strumenti per trovarla, nei limiti del possibile, ci sono.
STRATEGIA INNOVATIVA: Presenta un rischio maggiore. E’ come fare un investimento pianificato in mercati azionari rischiosi o in un’ attività innovativa imprenditoriale. Significa puntare sul futuro. Nella questione dei rifiuti vorrebbe dire: Evitare inceneritore e discariche portando la raccolta differenziata oltre l’ 80%, riducendo drasticamente gli sprechi e gli imballaggi, rivoluzionando il sistema distribuzione commerciale e di raccolta dei rifiuti. Ovviamente una soluzione del genere necessita di una capacità di programmazione di molti anni e su scala nazionale.
Il grosso problema in Italia è che si confonde la prima strategia con la terza. Tra le due soluzioni c’è un enorme distanza, c’è quello stesso mare che divide, nel noto proverbio, il dire e il fare. Purtroppo spesso chi si batte per l’ ambiente ricade nell’ immobilismo della strategia “gratta e vinci”. La terza prospettiva è sicuramente quella auspicabile.
Tuttavia credo che quello che manca alla società italiana sia anche una buona dose di autocoscienza. Non possiamo non renderci conto che l’ attuale capacità di programmazione politica italiana non va al di là di qualche anno ( sicuramente non oltre la durata di una legislatura o di un mandato) e non oltre l’ ombra del campanile cittadino o dei confini comunali.
Forse per il momento, con un po’ di umiltà, potremmo accontentarci delle soluzione già collaudate e diffuse negli altri Paesi, guardando per un po’ oltre i confini nazionali.
Potremmo, come ci ha raccontato Loos, iniziare ad usare il cucchiaino per il sale, invece di gettarci il sale alle spalle per scaramanzia.
Un omaggio a Italo Calvino. Chi ha letto “Le città invisibili” molto probabilmente in questi giorni avrà ricordato questo brano:
Leonia
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall’ultimo modello d’apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti di Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo i tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose di ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.
Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arrestrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’inalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l’arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermantazioni e combustioni. E’ una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Il risutlato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé le montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l’altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di scarpe spaiate, calendari d’anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle altre città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.

Italo Calvino
Da Le Citta’ invisibili